2th Edition W.A.D. 2022

 

Comunicato stampa

In occasione del

Matres International Women's Ceramic Festival

Cava dei Tirreni,Vietri sul Mare, Salerno

il 27Agosto 2022 l’Associazione WindMill ART POWER PLANT

presenterà la II° edizione delWomen Visual Artists Databse e la

Art Action FLORILEGIO

per Ernestine Virden Cannon

di Laura VdB Facchini

l'arte delle donne accoglie tutte le donne in un'opera vivente

Women's art gathers all women into a living artwork

La  Presidente Anna Rita Fasano della Associazione Pandora Artiste Ceramiste, organizzatrice del Matres International Women's Ceramic Festival, inaugura la sezione di Artiste Ceramiste Storiche che inizia con Ernestine Virden Cannon, con una mostra   a cura di Maria Grazia Gargiulo che ha anche elaborato il suo profilo per il Women Visual Artists Database.

SABATO 27 AGOSTO – GIARDINO COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN GIOVANNI – GIARDINO DELLE CLARISSE, CAVA DE’ TIRRENI

ORE 18.30 PRESENTAZIONE A CURA DI CLAUDIA BONASI DEL LIBRO DI  Maria Grazia Gargiulo e Laura Conforti: “LA CERAMICA ERNESTINE. FORMA, COLORE ED INNOVAZIONE 1948-1968”

E PRESENTAZIONE DEL PROGETTO DEL WOMEN VISUAL ARTISTS DATABASE DI Laura Vdb

Facchini e Art Action

FLORILEGIO per Ernestine Virden Cannon

La pubblicazione del WOMEN VISUAL ARTISTS DATABASE (II° edizione)  sarà resa visibile e consultabile online gratuitamente sul sito www.windmillart.it nella sezione w.a.d.&Community

Il progetto è stato lanciato l’8 marzo 2021, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, da W.A.D.& Community - Wind Mill noprofit organization con una never ending open call rivolta alle artiste visive contemporanee e del Novecento.

Promosso attraverso una campagna social di mobile art action con il video ART IS IN YOUR HANDS (2020), il progetto prevede la costruzione di una banca dati concepita come archivio in divenire dedicato all’opera delle artiste internazionali.

Un progetto senza fine di lucro che unisce i due obbiettivi di WindMill: da una parte la promozione di studi specifici da parte delle Accademie d’Arte e delle Università, resi possibili grazie alla catalogazione e alla valorizzazione delle opere e dei profili biografici delle artiste; dall’altra la creazione di una community di artiste che condividano l’esperienza di questo database come un organismo vivente, inteso a favorire scambi di idee e collaborazioni con la finalità di porre la complessità dell’esperienza artistica femminile al centro del dibattito culturale in Italia e all’estero.

Le artiste sono invitate ad inserire la loro storia in una visione di arte orizzontale, condividendo esperienze di vita e lavoro, perché il loro esempio possa essere da stimolo alle nuove generazioni.

Le artiste rispondono spontaneamente alla call, inviando una scheda di profilo biografico insieme ad una selezione di immagini delle opere.

Per la II° edizione di WOMEN VISUAL ARTISTS DATABASE il Comitato scientifico, di cui fanno parte Carolina Ciuti, Manuela De Leonardis, Laura VdB Facchini, Miranda Mac Phail, Nicoletta Ricasoli.

Presenta le artiste:

Minou  Amirsoleimani  -  Stefania  Balestri  -  Primarosa  Cesarini Sforza   -   Guillermina De Gennaro   - Marilù Eustachio – Maura Falfan – Felicity Griffin Clark – Laura Grisi – Fariba Karimi – Giusi Lauriola  –  Lavinia  Longhetto  –  Florencia  Martinez  –  Patrizia Molinari – Silvia Noferi – O.Lala - Mimì Quilici Buzzacchi – Claudia Quintieri – Patriza Rivera – Cinzia Sarto – Natalia Saurin – Maria Irene Vairo – Tatiana Villani – Ernestine Virden Cannon

La Storica dell'Arte Franca Zoccoli, ha scritto il bellissimo testo Roma com’era per Women Visual Artists Database, ricordando le artiste Lilli Romanelli, Franca Sonnino, Gisella Meo, Anna Esposito.

https://www.pandoraceramiste.it/news/matres-festival-2022/

https://www.windmillart.it/database-ita/

Video Ernestine

Art Action Florilegio Ernestine

Maria Grazia Gargiulo – Laura Conforti – Claudia Bonasi – Laura VDB Facchini

Maria Grazia Gargiulo – Laura Conforti

Maria Grazia Gargiulo – Laura Conforti – Claudia Bonasi – Laura VDB Facchini

Franca Zoccoli

Roma com’era

nei ricordi di una nonagenaria

testo di Franca Zoccoli

Negli anni Sessanta Roma era una città meravigliosa, forse la capitale più bella del mondo, certo la più ricca di storia. Risorta dai disagi della guerra, si poteva percorrere su marciapiedi perfetti, privi di erbacce lungo i muri dei palazzi, lungo strade con l’asfalto levigato oppure, in alcuni luoghi come in parte del centro, su sampietrini ben collocati che formavano una superficie liscia. Le buche erano una rarità e venivano riparate in tempi brevi: potevamo ammirare i monumenti grandiosi, i palazzi di pregio, le celebri fontane, senza paura di inciampare, potevamo passeggiare nei parchi, che ne fanno la città più verde d’Europa, sicuri di trovarli ben mantenuti, con le siepi regolari, gli alberi potati da giardinieri esperti, viali e vialetti in ordine. Era giusto, pensavo, che Roma si attraversasse in superficie e Londra per via sotterranea, date le caratteristiche climatiche e ambientali delle due città.

Erano gli anni del boom economico e, tranne una breve crisi nel 1964, detta “la congiuntura”, l’Italia aveva raggiunto un benessere diffuso mai prima conosciuto. In un certo senso si credeva ancora nelle “magnifiche sorti e progressive”. Sarebbe trascorso ancora più di mezzo secolo prima che apparisse lo spettro del corona virus, del resto inimmaginabile appena un anno fa’. La vita era rilassata; andare in centro nel pomeriggio inoltrato, anche senza avere in programma particolari commissioni, era un piacere al quale “le signore”, e non solo, rinunciavano malvolentieri. Bisogna sapere, fra l’altro, che l’orario degli statali era dalle otto alle due (sabato incluso) e dunque lasciava  molte ore libere.

Forse è facile dopo una certa età diventare un laudator temporis acti, ma è innegabile che negli ultimi tempi ci sia stato un dilagare della volgarità. Allora le vetrine erano scintillanti ma allestite con sobrietà e buon gusto, guardarle era una gioia anche quando non si potevano fare acquisti. I passanti erano educati e vestiti dignitosamente. Del resto gli italiani erano noti per la loro eleganza e si distinguevano dai turisti, anche europei, soprattutto per le scarpe. Vorrei ricordare agli attuali esibitori di nudi, spesso repellenti, che le scimmie hanno perso il pelo quando hanno cominciato a indossare delle vesti, grazie alla nascita della tessitura. Da noi negli anni Sessanta, stoffe e fogge erano le più eleganti a livello planetario. Non per niente si è giunti al successo globale del ‘made in Italy’.

 I cani erano rari e, anche per questo, a parte la civiltà dei proprietari, non si doveva fare attenzione a dove si mettevano i piedi. In genere si andava in centro con i mezzi pubblici che erano affidabili e abbastanza frequenti. Anche la microcriminalità era piuttosto contenuta. L’automobile era ancora un privilegio e parcheggiare in centro non era un grande problema.

Spesso si lasciava la macchina a Piazza del Popolo, punto di partenza delle strade del tridente: Via del Babuino, il Corso e Via Ripetta, lungo le quali si trovavano quasi tutte le gallerie più importanti. Da tempo chiusa al traffico, oggi la piazza è senza dubbio molto più bella, con la geniale architettura del Valadier pienamente godibile, eppure rimpiango quel gigantesco parcheggio della mia giovinezza. Come in un villaggio alla messa domenicale, in quell’enorme villaggio che era Roma, verso le 5,30/6, dal martedì al sabato, si era certi di incontrarvi amici ed artisti, noti o emergenti. Lì le più audaci sfoggiarono le prime minigonne, gli stivaloni alti fin sopra il ginocchio, gli abiti a trapezio con un ciondolone al collo.

Nella piazza, intorno alla fontana dei leoni, fino alle muraglie di cinta, senza avere precisi appuntamenti, si girava fra le macchine, come in un labirinto metallico, alla ricerca di qualche conoscente o soltanto di incontri fortuiti. Poi si partiva per la visita delle mostre, che erano per lo più stimolanti e di buon livello. Spesso lo spunto era dato dall’inaugurazione di una personale o di una piccola collettiva. In tali casi non mancava mai un rinfresco: non stantie noccioline e uno scadente prosecco, ma vino di qualità, tartine, pasticceria mignon ecc. Eravamo ricchi e ci sembrava naturale, non ce ne rendevamo conto.

Allo stesso modo ci sembrava naturale girare tranquilli anche la sera, senza temere spintoni e scippi.

Artiste attive a Roma negli ultimi tre decenni del novecento

Durante gli ultimi tre decenni del secolo scorso la vita culturale a Roma era molto vivace, anche nei cosiddetti anni di piombo. Un notevole contributo è stato dato da artiste con le più varie scelte di campo. Alcune hanno raggiunto fama internazionale, come ad esempio Mirella Bentivoglio, Maria Lai, Tomaso Binga, Carla Accardi, alcune hanno avuto riconoscimenti non del tutto adeguati, altre infine sono state quasi dimenticate. Desidero qui ricordarne alcune, iniziando da quella che vince il primo premio dell’obsolescenza:

Lilli Romanelli

Dopo il diploma dipinge, per qualche anno, piccoli quadri figurativi, ma raggiunge i risultati migliori nel periodo dell’informale con grandi tele contraddistinte dalla gestualità. “Ho bisogno di spazio per esprimermi” dichiara. Non partecipa a gruppi e ha scarsi rapporti con altri artisti, ma è provvista di antenne sensibilissime all’attualità. Si cimenta così nella nuova figurazione e nella performance, trasformando il proprio corpo in accezione estetica. Da ricordare anche i disegni: tessiture a trattino di penna, di una perfezione millimetrica, quasi prodigiosa. Sulle “maschere” dell’ultimo periodo va invece steso un velo pietoso: la vecchiaia non faceva per lei. Come persona era divertente, simpatica. Le piaceva recitare la parte di “artista” e apparire stravagante. Una volta si presentò vestita da astronauta, un’altra con un abito a trapezio e una sveglia al collo.  Ma nel lavoro era molto seria, meticolosa e anche capace di sottoporsi a fatiche fisiche, se lo riteneva necessario. Non ha mai venduto un’opera, per un attaccamento morboso ai propri lavori e grazie al fatto di appartenere a una famiglia molto benestante. Ha effettuato in questo modo una sorta di autocancellazione che si perpetua dopo la morte, con i suoi quadri sepolti in un container per disaccordi fra i numerosi nipoti.

Franca Sonnino ha avvertito presto l’esigenza di lavorare nello spazio e inventa qualcosa di nuovo per realizzare opere tridimensionali che non avessero però la pesantezza del marmo o del bronzo. Si è distaccata gradualmente dalla pittura prima inserendo nel quadro spaghi e altri elementi aggettanti, poi passando a intrecci, maglie lavorate con i ferri, reti annodate, per accamparsi infine nello spazio con vigorose strutture sempre di marca tessile. In questo modo l’artista unisce materiali e procedimenti da sempre associati alla donna – il filo, la tessitura – a una vocazione architettonica che si è andata manifestando sempre più chiaramente. A cominciare da un’autentica dichiarazione di poetica, il Muro appeso a un chiodo, una parete in costruzione, fatta di mattoni forati, accostati e sovrapposti, realisticamente realizzati in filo color mattone su un’anima di filo metallico. Ma è un muro senza peso, si può appendere a un chiodo, poiché ha tutta la leggerezza della fantasia. Le opere della Sonnino giungono a compimento con una crescita organica, maglia annodata dopo maglia. Come i prodotti di natura, non sono mai regolari o perfettamente simmetriche. Ne derivano costruzioni senza peso di  sorprendente modernità. Se è spontaneo l’accostamento a dati naturali come tele di ragno, crisalidi disseccate o corazze di insetti, si impone anche il rinvio a esperimenti moderni nel campo dell’architettura.

Gisella Meo è un’artista ad ampio spettro. Nomade fisicamente sul pianeta Terra, lo è anche nell’arte. Nata a Treviso (diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia), dopo due anni trascorsi in Africa e altri viaggi, si è trasferita a Roma nel 1970. Vi resterà per parecchi decenni prima di scegliere una cittadina più campestre. Inizia l’attività artistica con quadri di timbro espressionista, per essere poi attratta dalla gestualità dell’action painting. Dalla pittura passa presto agli oggetti: un libro che respira come un essere vivente, moduli ritagliati che si gonfiano in onde conferendo dinamismo ad asettiche geometrie. Usa i materiali più diversi: carta, plastica, corde, cemento, lamiera, legno, tele, ma è la scoperta del “filo” che la conduce al suo repertorio più caratterizzante. Verso la metà del decennio sceglie lo spazio esterno per realizzare installazioni e interventi sul territorio. Fra i suoi lavori più incisivi “La maglia intorno alla tomba” a Cerveteri e la gabbia tessile intorno alla Torre di Bagnaia, quale segno di pace e omaggio alle twin towers, a un anno di distanza dal tragico evento.

Paradosso e ironia sono le caratteristiche dominanti nel lavoro di Anna Esposito che, deliberatamente, si pone al di fuori di qualsiasi codificata categoria. L’artista usa ogni sorta di materiale, dalla carta al metallo, con opere bidimensionali o a tre dimensioni: lo spartito con le note che diventano strade, sulle quali corrono biciclette o si riposano persone in panchina; la scatoletta di acciughe

Sempre nell’ambito del cibo, sono di particolare interesse i “cappelletti” che, cadendo da un piatto inclinato si trasformano via via in berrettini, con un rovesciamento che è fisico e semantico allo stesso tempo. Ancora fra i primi piatti, troviamo il barattolo Campbell che cita le celebri Campbell’s Soup Cans di Andy Wahrol con rinvio al New Dada e alla Pop Art USA.